venerdì 21 gennaio 2011

Stelvio Di Spigno - "Fine settembre"

Inauguro questo blog con una poesia di Stelvio Di Spigno, poeta napoletano, classe 1975.
Stelvio ha da poco pubblicato un bel libro che definirei della maturità; robusto, coraggioso e dal titolo che svela e scandaglia ogni minima e massima questione sull'esistenza, seppure con l'occhio personale e singolare dell'autore: "La nudità" (Pequod, 2010). Corredare una poesia di un autocommento è sempre un azzardo ed è una richiesta non sempre ben accolta dal poeta. Tuttavia, se la dichiarazione d'intenti di Di Spigno è reale, sincera e chiara, non dovrebbe diventare un limite la chiosa. Anzi, è anch'essa una presa di posizione decisa. Anche denudarsi all'occhio del lettore presuppone coraggio, intraprendenza. E, dall'altra parte dello schermo, un minimo di partecipazione al mistero che è la poesia - o la vita.

***

Fine settembre

Si presentano a orari in cui ognuno prende il volo,
verso le sette di sera quando ancora c’è il sole,
e con i loro gridi prendono forme umane,
un gigante, per esempio, o un volto conosciuto,
tanto che l’occhio non distingue il perché del movimento
e vorrebbe saperne di più, ma questi stormi
fanno a gara con corriere e treni di fortuna
a sparire per primi, risucchiando                         
il brusio dei pendolari, la stanchezza dei passi,
la finzione di tutto.

Vanno dove si disperdono altre voci,
questa volta scaturite dalle case in lontananza,
e c’è chi come noi ricorda vagamente
dove abbiamo ascoltato per primi
le parole che non hanno ritorno. 


(da “La nudità”, Pequod, Ancona 2010)



Commento

Ho deciso di aprire il mio terzo libro di versi, La nudità, con questo testo che parla dell’aria, dell’aperto; del contrasto tra il chiuso delle case, nelle quali le parole restano scolpite e feriscono, e la grande piazza, uno spazio sterminato nel quale le parole si disperdono. Cosa rappresentano le parole di una poesia? Restano tra le mura domestiche, nell’oscuro di ogni anima, oppure viaggiano e, irrimediabilmente, si perdono? Fine settembre si chiede questo e passa la palla al lettore, perché sia lui a decidere. La piazza in questione è quella della Stazione Centrale di Napoli, dove da sempre, verso il tramonto, stormi di rondini improvvisano evoluzioni spettacolari. Questi uccelli si sovrappongono, a volte oscurando piccole fette di cielo, altre volte diradandosi per poi tornare indietro, come fossero sincronizzati. Lo stile di questa poesia è piano come un racconto, anche se preferirei considerarlo soltanto umile. Ogni testo deve arrivare all’altro capo di noi, a un terminale che è il nostro prossimo: quindi deve farlo con calma, con vaghezza, con semplicità: come avrebbe fatto Saba, che considerava ogni sua poesia un dono verso chi legge. Non mi stancherò mai di ripeterlo: la poesia è un’offerta, un’oblazione, deve coinvolgere, non stravolgere la sensibilità di chi legge. Ogni buon verso ha il dovere di parlare di noi. E cosa facciamo noi? Ci uniamo, ci allontaniamo, guardiamo di scorcio, ci disperdiamo e alla fine spariamo, a noi stessi e agli altri. Questo è il nostro destino: e questa mia poesia cerca di darne conto, spero non solo nelle intenzioni ma anche con un minimo di successo.

Stelvio Di Spigno


Stelvio Di Spigno è nato a Napoli nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università Orientale di Napoli. Ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2ed. accresciuta Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco (Manni, Lecce 2007), La nudità (Pequod, Ancona 2010) e la monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Ha scritto su Vico, Von Kleist, Montale, Pavese, Zanzotto e sui poeti della post-avanguardia italiana. Vive tra Napoli e Gaeta.